La disfida algebrica (di Mauro Comoglio)
Chiunque abbia frequentato il biennio di un qualsiasi Istituto secondario superiore ha familiarità con la formula risolutiva per radicali, delle equazioni algebriche di 2° grado. L'equazione ax2+bx+c=0 ammette, come soluzioni quelle indicate qui a fianco con varie discussioni a seconda che Δ=b2-4ac sia positivo, nullo o negativo. Pochi sono a conoscenza, tuttavia, dell'esistenza di una formula risolutiva generale (per radicali) delle equazioni di 3° e 4° grado! Quei pochi che ne sono a conoscenza ignorano, per lo più, la vera e propria saga che ha portato alla loro scoperta, da parte di un manipolo di algebristi italiani, in pieno Rinascimento.
Alzi la mano chi non ha mai sentito il nome di Tartaglia assurto agli onori delle cronache matematiche come padre dell'omonimo triangolo (noto ai francesi come triangolo di Pascal e agli inglesi come triangolo di Newton, partorito in realtà dalla mente del cartografo tedesco
Peter von Bienewitz. Partendo dal presupposto che siate stati in molti ad alzare la mano, corre l'obbligo di ricordare chi fosse Niccolò Fontana detto il Tartaglia proprio prendendo le mosse da questo suo buffo soprannome.
II Fontana, infatti, nacque a Brescia intorno al 1499 ed era dunque un ragazzino durante il sacco di Brescia del 1512 ad opera delle truppe francesi. Gettatosi davanti alla spada di un bravaccio, per difendere il fratellino, il povero Niccolò fu colpito in pieno viso, riportando
danni gravissimi al volto e restando balbuziente per tutta la vita: da qui il soprannome di Tartaglia.
Le vicende belliche e le successive traversie della vita, oltre a fare del matematico bresciano un uomo assai poco fortunato, debbono aver contribuito non poco a renderlo un carattere irascibile e malinconico, poco adatto alla vita di società. Questo non gli impedì, tuttavia, di acquistare rapida fama di bravo matematico e di divenire lettore presso il prestigioso Studio di Bologna ovvero docente dell'Università di Bologna, dove inizia la nostra storia.
Al tempo di Tartaglia, l'Algebra era poco più evoluta di quella conosciuta dai babilonesi e tenuta in scarsissima considerazione dai matematici, per i quali la Matematica - con la m maiuscola - era sopra ogni cosa la Geometria. II lettore moderno rimarrebbe sicuramente
sconcertato leggendo un trattato di Algebra tardo medievale e rinascimentale, non fosse altro per la totale mancanza della simbologia a noi nota.
Il Cardano - di cui avremo modo di parlare più avanti - scrive "Il cubo e sei volte il lato siano uguali a 20" al posto del nostro x3+6x=20, decisamente più sintetico! È facile pensare quanto potesse essere complicato scrivere una delle micidiali espressioni tanto care ai nostri libri di testo. A titolo di esempio, ricordiamo che il grande algebrista tedesco Michael Stiefel usava le abbreviazioni delle parole tedesche coss, zensus, cubus, zenzisensus
per indicare le potenze successive dell'incognita x, x2, x3, x4.
Il Rinascimento italiano coincise con la rinascita dell'Algebra e, in particolare, con un rinnovalo interesse per la ricerca di una formula risolutiva generale per le equazioni algebriche di 3° e 4° grado. Intorno a questo problema iniziarono ad arrovellarsi gli ingegni più insigni dell'epoca, i quali presero (come era costume) a sfidarsi in pubbliche gare. I matematici, infatti, erano soliti custodire gelosamente le proprie scoperte per poter sfidare altri colleghi, attraverso cartelli di matematica disfida. La sfida consisteva nel risolvere un problema e nel trovare metodi migliori e più rapidi dei propri, certi della possibilità di far fare una figuraccia al rivale, eliminando così un concorrente nella eterna caccia di un mecenate.
L'eroe buono della nostra vicenda è Scipione dal Ferro (1465-1526), "vecchio bolognese'; professore presso l'Ateneo di Bologna. In circostanze e tempi mai chiariti, aveva scoperto la formula risolutiva dell'equazioni di 3° grado, ma senza mai pubblicare nulla e confidando il segreto solo in punto di morte a un mediocre allievo.
Questi, ancora incredulo per la fortuna capitatagli, nel 1535 si precipitò a sfidare pubblicamente il grande Tartaglia, che era giunto alla stessa formula risolutiva di Scipione dal Ferro con metodi, però, indipendenti. Ciascuno dei due contendenti propose all'altro 30 problemi da risolvere entro un tempo stabilito. II giorno fatidico giunse e... il trionfo del bresciano fu pieno e senza possibilità di dubbi! Aveva risolto tutti i quesiti proposti dall'altro contendente, mentre questi non era riuscito a venire a capo di nessuno dei problemi proposti da Tartaglia.
A questo punto della vicenda entra in scena il black hero della situazione, Girolamo Cardano da Pavia. Fu un tipico figlio del Rinascimento, con un piede nella modernità e l'altro nel medioevo, molto scienziato e un poco stregone, afflitto da una famiglia di figli disgraziati, uno dei quali condannato come delinquente abituale e l'altro, avvelenatore della matrigna, condannato a morte e decapitato (per tacere del segretario di Cardano, Ludovico Ferrari, probabilmente avvelenato dalla sorella!). Malgrado la dubbia fama del personaggio, il povero Tartaglia ritenne di poterne fare il proprio confidente e di potergli comunicare, in tutta sicurezza, il segreto (sino ad allora gelosamente custodito) della formula risolutiva delle equazioni di 3° grado. Quando le voci dell'esistenza di tale formula iniziarono a circolare in Bologna, Cardano si ritenne liberato da ogni vincolo di segretezza e pubblicò la formula risolutiva per le equazioni di 3° e 4° grado nella sua celebre opera Ars Magna, che fece di lui il più celebre algebrista d'Europa.
È inutile dire quali furono i sentimenti del Tartaglia, ferito nell'orgoglio e scavalcato dal luciferino medico pavese il quale comunque, a dire il vero, non mancò mai di sottolineare l'originalità del contributo dato dai colleghi alla scoperta delle formule risolutive. Basti ricordare che Tartaglia accusava Cardano di essere "molto più tonto di quello che io istimava". Le litigate tra i due diverranno leggendarie e si placheranno solo con la morte dei contendenti.
I successi del terzetto - Ferro, Tartaglia e Cardano - spingeranno i matematici a ricercare - per i due secoli (e mezzo) successivi - la formula risolutiva delle equazioni algebriche di quinto grado, dando origine a un'altra avvincente saga che troverà la sua conclusione con l'irruzione sulla scena matematica di altri personaggi straordinari e con un risultato sorprendente.
Ma questa è un'altra storia...
Alzi la mano chi non ha mai sentito il nome di Tartaglia assurto agli onori delle cronache matematiche come padre dell'omonimo triangolo (noto ai francesi come triangolo di Pascal e agli inglesi come triangolo di Newton, partorito in realtà dalla mente del cartografo tedesco
Peter von Bienewitz. Partendo dal presupposto che siate stati in molti ad alzare la mano, corre l'obbligo di ricordare chi fosse Niccolò Fontana detto il Tartaglia proprio prendendo le mosse da questo suo buffo soprannome.
II Fontana, infatti, nacque a Brescia intorno al 1499 ed era dunque un ragazzino durante il sacco di Brescia del 1512 ad opera delle truppe francesi. Gettatosi davanti alla spada di un bravaccio, per difendere il fratellino, il povero Niccolò fu colpito in pieno viso, riportando
danni gravissimi al volto e restando balbuziente per tutta la vita: da qui il soprannome di Tartaglia.
Le vicende belliche e le successive traversie della vita, oltre a fare del matematico bresciano un uomo assai poco fortunato, debbono aver contribuito non poco a renderlo un carattere irascibile e malinconico, poco adatto alla vita di società. Questo non gli impedì, tuttavia, di acquistare rapida fama di bravo matematico e di divenire lettore presso il prestigioso Studio di Bologna ovvero docente dell'Università di Bologna, dove inizia la nostra storia.
Al tempo di Tartaglia, l'Algebra era poco più evoluta di quella conosciuta dai babilonesi e tenuta in scarsissima considerazione dai matematici, per i quali la Matematica - con la m maiuscola - era sopra ogni cosa la Geometria. II lettore moderno rimarrebbe sicuramente
sconcertato leggendo un trattato di Algebra tardo medievale e rinascimentale, non fosse altro per la totale mancanza della simbologia a noi nota.
Il Cardano - di cui avremo modo di parlare più avanti - scrive "Il cubo e sei volte il lato siano uguali a 20" al posto del nostro x3+6x=20, decisamente più sintetico! È facile pensare quanto potesse essere complicato scrivere una delle micidiali espressioni tanto care ai nostri libri di testo. A titolo di esempio, ricordiamo che il grande algebrista tedesco Michael Stiefel usava le abbreviazioni delle parole tedesche coss, zensus, cubus, zenzisensus
per indicare le potenze successive dell'incognita x, x2, x3, x4.
Il Rinascimento italiano coincise con la rinascita dell'Algebra e, in particolare, con un rinnovalo interesse per la ricerca di una formula risolutiva generale per le equazioni algebriche di 3° e 4° grado. Intorno a questo problema iniziarono ad arrovellarsi gli ingegni più insigni dell'epoca, i quali presero (come era costume) a sfidarsi in pubbliche gare. I matematici, infatti, erano soliti custodire gelosamente le proprie scoperte per poter sfidare altri colleghi, attraverso cartelli di matematica disfida. La sfida consisteva nel risolvere un problema e nel trovare metodi migliori e più rapidi dei propri, certi della possibilità di far fare una figuraccia al rivale, eliminando così un concorrente nella eterna caccia di un mecenate.
L'eroe buono della nostra vicenda è Scipione dal Ferro (1465-1526), "vecchio bolognese'; professore presso l'Ateneo di Bologna. In circostanze e tempi mai chiariti, aveva scoperto la formula risolutiva dell'equazioni di 3° grado, ma senza mai pubblicare nulla e confidando il segreto solo in punto di morte a un mediocre allievo.
Questi, ancora incredulo per la fortuna capitatagli, nel 1535 si precipitò a sfidare pubblicamente il grande Tartaglia, che era giunto alla stessa formula risolutiva di Scipione dal Ferro con metodi, però, indipendenti. Ciascuno dei due contendenti propose all'altro 30 problemi da risolvere entro un tempo stabilito. II giorno fatidico giunse e... il trionfo del bresciano fu pieno e senza possibilità di dubbi! Aveva risolto tutti i quesiti proposti dall'altro contendente, mentre questi non era riuscito a venire a capo di nessuno dei problemi proposti da Tartaglia.
A questo punto della vicenda entra in scena il black hero della situazione, Girolamo Cardano da Pavia. Fu un tipico figlio del Rinascimento, con un piede nella modernità e l'altro nel medioevo, molto scienziato e un poco stregone, afflitto da una famiglia di figli disgraziati, uno dei quali condannato come delinquente abituale e l'altro, avvelenatore della matrigna, condannato a morte e decapitato (per tacere del segretario di Cardano, Ludovico Ferrari, probabilmente avvelenato dalla sorella!). Malgrado la dubbia fama del personaggio, il povero Tartaglia ritenne di poterne fare il proprio confidente e di potergli comunicare, in tutta sicurezza, il segreto (sino ad allora gelosamente custodito) della formula risolutiva delle equazioni di 3° grado. Quando le voci dell'esistenza di tale formula iniziarono a circolare in Bologna, Cardano si ritenne liberato da ogni vincolo di segretezza e pubblicò la formula risolutiva per le equazioni di 3° e 4° grado nella sua celebre opera Ars Magna, che fece di lui il più celebre algebrista d'Europa.
È inutile dire quali furono i sentimenti del Tartaglia, ferito nell'orgoglio e scavalcato dal luciferino medico pavese il quale comunque, a dire il vero, non mancò mai di sottolineare l'originalità del contributo dato dai colleghi alla scoperta delle formule risolutive. Basti ricordare che Tartaglia accusava Cardano di essere "molto più tonto di quello che io istimava". Le litigate tra i due diverranno leggendarie e si placheranno solo con la morte dei contendenti.
I successi del terzetto - Ferro, Tartaglia e Cardano - spingeranno i matematici a ricercare - per i due secoli (e mezzo) successivi - la formula risolutiva delle equazioni algebriche di quinto grado, dando origine a un'altra avvincente saga che troverà la sua conclusione con l'irruzione sulla scena matematica di altri personaggi straordinari e con un risultato sorprendente.
Ma questa è un'altra storia...
Per approfondire su Cardano e Tartaglia
girolamo_cardano.pdf | |
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nicolo_fontana_tartaglia.pdf | |
File Size: | 76 kb |
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Leonardo Fibonacci
Leonardo Fibonacci detto Leonardo da Pisa fu un matematico italiano. Assieme al padre Guglielmo dei Bonacci, facoltoso mercante pisano e rappresentante dei mercanti della Repubblica di Pisa nella regione di Bugia in Cabilia passò alcuni anni in quella città, dove studiò i procedimenti aritmetici che studiosi musulmani stavano diffondendo nelle varie regioni del mondo islamico. Qui ebbe anche precoci contatti con il mondo dei mercanti e apprese tecniche matematiche sconosciute in Occidente. Alcuni di tali procedimenti erano stati introdotti per la prima volta dagli Indiani, portatori di una cultura molto diversa da quella mediterranea. Proprio per perfezionare queste conoscenze, Fibonacci viaggiò molto, arrivando fino a Costantinopoli, alternando il commercio con gli studi matematici.
A partire dal 1228 non si hanno più notizie del matematico, tranne per quanto concerne il Decreto della Repubblica di Pisa che gli conferì il titolo di "Discretus et sapiens magister Leonardo Bigollo". Fibonacci morì qualche anno dopo presumibilmente a Pisa.
Nel 1202 pubblicò e nel 1228 riscrisse il Liber abaci, opera in quindici capitoli con la quale introdusse per la prima volta in Europa le nove cifre, da lui chiamate indiane e il segno 0 che in latino è chiamato zephirus. Nel libro presentò inoltre criteri di divisibilità, regole di calcolo di radicali quadratici e cubici ed altro. Introdusse con poco successo anche la barretta delle frazioni, nota al mondo arabo prima di lui.
All'epoca il mondo occidentale usava i numeri romani e il sistema di numerazione greco e i calcoli si facevano con l'abaco. Questo nuovo sistema stentò molto ad essere accettato, tanto che nel 1280 la città di Firenze proibì l'uso delle cifre arabe da parte dei banchieri. Si riteneva che lo "0" apportasse confusione e venisse impiegato anche per mandare messaggi segreti e poiché questo sistema di numerazione veniva chiamato "cifra", da questa denominazione deriva il termine messaggio cifrato
Una sequenza famosa: i numeri di Fibonacci
Fibonacci è noto soprattutto per la sequenza di numeri da lui individuata e conosciuta, appunto, come successione di Fibonacci:
0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89 ...
in cui ogni termine, a parte i primi due, è la somma dei due che lo precedono. Sembra che questa sequenza sia presente in diverse forme naturali (per esempio, negli sviluppi delle spirali delle conchiglie, ecc.).
Una particolarità di questa sequenza è che il rapporto tra due termini successivi diminuisce progressivamente per poi tendere molto rapidamente al numero 1,61803..., noto col nome di rapporto aureo o sezione aurea.
A partire dal 1228 non si hanno più notizie del matematico, tranne per quanto concerne il Decreto della Repubblica di Pisa che gli conferì il titolo di "Discretus et sapiens magister Leonardo Bigollo". Fibonacci morì qualche anno dopo presumibilmente a Pisa.
Nel 1202 pubblicò e nel 1228 riscrisse il Liber abaci, opera in quindici capitoli con la quale introdusse per la prima volta in Europa le nove cifre, da lui chiamate indiane e il segno 0 che in latino è chiamato zephirus. Nel libro presentò inoltre criteri di divisibilità, regole di calcolo di radicali quadratici e cubici ed altro. Introdusse con poco successo anche la barretta delle frazioni, nota al mondo arabo prima di lui.
All'epoca il mondo occidentale usava i numeri romani e il sistema di numerazione greco e i calcoli si facevano con l'abaco. Questo nuovo sistema stentò molto ad essere accettato, tanto che nel 1280 la città di Firenze proibì l'uso delle cifre arabe da parte dei banchieri. Si riteneva che lo "0" apportasse confusione e venisse impiegato anche per mandare messaggi segreti e poiché questo sistema di numerazione veniva chiamato "cifra", da questa denominazione deriva il termine messaggio cifrato
Una sequenza famosa: i numeri di Fibonacci
Fibonacci è noto soprattutto per la sequenza di numeri da lui individuata e conosciuta, appunto, come successione di Fibonacci:
0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89 ...
in cui ogni termine, a parte i primi due, è la somma dei due che lo precedono. Sembra che questa sequenza sia presente in diverse forme naturali (per esempio, negli sviluppi delle spirali delle conchiglie, ecc.).
Una particolarità di questa sequenza è che il rapporto tra due termini successivi diminuisce progressivamente per poi tendere molto rapidamente al numero 1,61803..., noto col nome di rapporto aureo o sezione aurea.